Appena la siringa si è staccata dalla sua vena e il suo cuore ha fatto l’ultimo battito è partito un lungo ululato da tutte le gabbie del canile. Nessuno di loro ha assistito a quel momento, eravamo dentro nel locale infermeria. Hanno solo visto quando entravamo insieme a lui. Non so dire se sia stata una coincidenza. Magari hanno ululato per qualche altro motivo. Forse l’uomo cerca spiegazioni razionali per qualcosa che la ragione non può capire. In quel momento, quando la ragione è annegata nelle emozioni, il tempismo di quell’ululato mi ha fatto venire i brividi.

Bobo ne aveva passate tante, era riconoscente con gli uomini che lo rispettavano se ne prendevano cura. Con quegli uomini che gli avevano dato quello che nella sua vita nessun altro uomo gli aveva mai dato. Bobo era un cane che nel suo ultimo anno e mezzo voleva vivere quello che non era riuscito a vivere mai. Voleva recuperare tutto il tempo perso, in mille inutili sofferenze. Avrebbe forse potuto vivere ancora meglio, in una famiglia che lo amava. Ma un vecchio cane è difficile da far adottare.

Quella mattina scavò una buca nel cortile del primo locale e ci si ficcò dentro. Non l’aveva mai fatto prima. Nonostante non si reggesse quasi in piedi chiedeva insistentemente di uscire, così gli feci fare una passeggiata, forse troppo lunga. Lui tirava, con le poche energie che gli erano rimaste. Sapevo che il ritorno sarebbe stato difficile ma appena mi fermavo e gli dicevo che dovevamo tornare lui faceva resistenza, non voleva tornare indietro. Bobo voleva solo andare a morire da qualche parte, da solo, con la sua dignità. La dignità del cane che rispetta la vita, la natura, e decide lui quando e dove morire.

Invece no, non potevo lasciarlo andare. Non si possono lasciar liberi i cani. Neanche i cani morenti che non aggredirebbero nessuno. Bobo non avrebbe aggredito nessuno neanche nel pieno delle sue forze. Lo dovevo riportare indietro, con la speranza che si riprendesse, o che non avrebbe sofferto così tanto fino alla fine. Nonostante il suo problema alle anche e la sua condizione così grave è riuscito a tornare indietro, facendo quella faticosa salita. Ma lui è un guerriero, tira dritto. Ce la può fare.

Pensiamo di aiutarli perché loro hanno bisogno di noi, e il loro bisogno viene trasmutato nel bisogno che noi abbiamo di loro. Il nostro perverso, umano, bisogno di controllo. Perché l’uomo deve governare la natura. L’animale più facile da governare per l’uomo è il suo migliore amico, il cane. Li abbiamo selezionati geneticamente, abbiamo creato le loro razze. Li abbiamo allevati, secondo i nostri gusti. Decidiamo come devono nascere, che cosa devono essere. Decidiamo tutto di loro. Dove devono vivere, dove devono camminare, cosa devono mangiare, come devono comportarsi, come devono morire.

Sarebbe bello se i cani vivessero liberi, senza padroni, decidendo loro con chi e dove stare. In mezzo agli uomini, con gli uomini, senza essere una loro proprietà.

Loukanikos, che in greco significa “salsiccia”, era un randagio che viveva nei pressi di Piazza Syntagma, nel centro di Atene, dove c’è il palazzo del parlamento. Durante l’epoca delle mobilitazioni popolari contro le politiche di austerità dell’Unione Europea, Loukanikos scendeva in piazza con gli uomini e partecipava alle proteste. Loukanikos non aveva perso il lavoro, non si era visto tagliare la pensione, l’assistenza sociale, le cure mediche, la banca non gli aveva pignorato la casa. Ma manifestava in piazza anche lui, stava dalla parte degli uomini che vivevano quella tragedia sociale, quegli uomini in mezzo ai quali viveva, e che si prendevano cura lui. Loukanikos sapeva da parte che stare. La riconoscenza è un sentimento che gli animali riescono a provare meglio di quanto riesca l’uomo.

Da ciò che si sa, Loukanikos sarebbe poi stato adottato, e sarebbe morto qualche tempo dopo quegli anni di lotte insieme ai suoi compagni umani. Chissà se ha avuto la fortuna di scegliere quando morire, o se anche lui ha incontrato una siringa, come è toccato a Bobo.

Chissà se Bobo avrebbe partecipato alle manifestazioni di piazza insieme agli uomini. Secondo me si, alla fine, chi più di lui, era della classe operaia dei cani?

Quando lo tenevo mentre l’ago gli perforava la vena mi guardò negli occhi. Non capì se fosse uno sguardo riconoscente o arrabbiato, di sicuro, aveva capito cosa gli stavo facendo. Di sicuro, mi sentivo che non lo stavo rispettando, che non stavo rispetando la sua natura.

Non mi sento in colpa. A differenza degli uomini, tutti i cani vanno in paradiso.

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